Il cuore delle donne
— di Lino Grossano, con la consulenza scientifica di Carla Bonanomi, cardiologa al Policlinico di Milano
La signora Anna ha 63 anni, ed è incredula.
Sdraiata nel suo lettino, è ancora leggermente stordita mentre viene portata all'Unità Coronarica. Nemmeno mezz'ora prima le stavano facendo un'angioplastica per curare un infarto miocardico acuto. "Un infarto? Io?", continua a chiedersi con una mano sul petto, per sentire il suo cuore battere (e lui batte, preciso, come ha fatto per una vita).
Anna è incredula perché fino a tre ore prima era seduta alla sua scrivania, nella segreteria amministrativa di un grande studio professionale in centro a Milano, e stava benissimo. Ha sempre fatto il suo lavoro con grande professionalità e senso del dovere, come ogni giorno negli ultimi 20 anni, da quando suo marito l’aveva lasciata sola con una bambina poco più che tredicenne. Effettivamente, solo il lavoro l’aveva aiutata a superare quel momento di depressione, anche se poi lo stress si era fatto sentire.
Non può crederci anche perché gli infarti (pensa erroneamente) vengono agli uomini. E' sempre stata bene, prende solo la pillola della pressione da qualche anno, ma d’altronde tutti in famiglia la prendono. Tra il lavoro, la mamma anziana e un nipotino in arrivo non aveva ancora trovato il tempo di iscriversi in palestra per perdere quei 15 chili presi pian piano dopo la menopausa. Ma si sente un po' giustificata, perché fin da quando era ragazza la sua tiroide è sempre stata un po’ pigra a causa di una malattia autoimmune. Mica l'ha fatto apposta.
L’unico ricovero in ospedale l'aveva fatto quasi 30 anni fa, quando ha partorito sua figlia, nata a sette mesi perché Anna aveva la gestosi: ovvero, una forma di pressione alta in gravidanza che può dare seri problemi sia alla donna che al suo bambino. Ma poi era passata. Sono stata sempre bene, pensa.
Eppure oggi è qui, nell'Unità Coronarica. E spera che vada tutto bene. Più che per sé stessa è preoccupata per tutto il resto: perché vuole tornare presto a lavoro, perché sua madre, sua figlia e il suo nipotino nuovo di zecca hanno bisogno di lei.
Le malattie cardiovascolari, come infarti e ictus, sono la prima causa di morte per le donne in Italia. Queste patologie causano il 39% dei decessi femminili: tutti i tipi di tumore messi insieme, invece, ne provocano soltanto la metà (23%). Eppure, l'80% delle morti dovute a una patologia cardiovascolare potrebbe essere evitata semplicemente con una corretta prevenzione. Per molti anni l’attenzione sulla salute femminile si è focalizzata sul seno e sull’apparato riproduttivo. Fortunatamente oggi le donne si sottopongono a screening oncologici come il pap-test e la mammografia, mentre non è per nulla ovvio che seguano un'adeguata prevenzione cardiovascolare. Eppure, per ogni donna che muore colpita da cancro al seno ci sono più di cinque donne vittime di una malattia cardiovascolare.
Purtroppo la prognosi di malattia cardiovascolare nelle donne è peggiore rispetto che negli uomini. Il motivo è ancora oggetto di studio: quello che si sa finora è che le donne sviluppano la cardiopatia ischemica con circa 10 anni di ritardo rispetto agli uomini, grazie all’azione protettiva che gli ormoni sessuali svolgono fino alla menopausa. Per questo le pazienti colpite sono generalmente più anziane, e quindi con maggior probabilità di avere anche altre patologie concomitanti. Inoltre, a causa di una maggiore aspettativa di vita, le donne anziane si trovano più facilmente in condizioni di solitudine, prive di supporti sociali o economici: in pratica, per loro diventa più difficile seguire una corretta alimentazione, assumere correttamente le terapie, così come seguire nel tempo i controlli clinici e strumentali di cui avrebbero bisogno per stare in salute.
Le differenze tra donne e uomini, a livello clinico, non finiscono qui. Nelle donne, ad esempio, la prevenzione cardiovascolare è meno efficace. Inoltre, ai fattori di rischio comuni a entrambi i sessi (fumo, ipertensione, diabete, dislipidemia, soprappeso e vita sedentaria) si sommano quelli legati alla condizione femminile, che possono essere: aver avuto gravidanze complicate da disturbi ipertensivi o da diabete gestazionale, la depressione, eventuali malattie autoimmuni, o ancora essere state sottoposte a chemioterapia o a radioterapia al torace.
E ancora, le donne sono spesso caregiver, cioè coloro che si dedicano ad assistere i famigliari sia in un contesto in cui c'è la salute (come il normale accudimento dei figli o del partner) sia in caso di famigliari fragili, come anziani o disabili. Un ruolo che spesso viene vissuto durante la vita lavorativa, e non lascia tempo né risorse per fare prevenzione e per occuparsi di sé stesse. Eppure basterebbero un'attività fisica regolare e un'alimentazione sana, niente di più.
La storia della signora Anna è solo un esempio su tanti: lei aveva un unico fattore di rischio comune, e cioè la pressione alta. Ma aveva anche dei fattori di rischio specifici, che però lei non considerava tali: ovvero una gestosi, un episodio di depressione, una malattia autoimmune alla tiroide. A cui si aggiungevano una vita sedentaria e il sovrappeso, che nelle donne hanno più conseguenze gravi rispetto agli uomini. Di fatto, quello che Anna ci insegna è che nelle donne manca ancora la consapevolezza del rischio: per questo è importante seguire uno stile di vita sano sin da giovani, così come è importante seguire i giusti controlli consigliati dal proprio medico. Non è mai troppo presto, per prendersi cura di sé.