Rene, ancora troppo pochi i trapianti da donatore vivente
— di Lino Grossano
Esperta: la procedura è sicura, più informazione farebbe fronte alla cronica penuria di organi. E farebbe risparmiare il Servizio sanitario nazionale
Chi vive in attesa di un trapianto di rene sa quanto è dura aspettare il proprio turno per ricevere un organo: anche perché, purtroppo, i consensi alle donazioni non sono affatto in aumento. Eppure c’è una strada perfettamente legale, sicura ed efficace, ma utilizzata pochissimo in Italia: è la donazione da vivente, che può “liberare” il paziente dalla schiavitù della dialisi.Il motivo per cui non è molto praticata, spiega Luisa Berardinelli, direttore di Chirurgia generale e dei Trapianti di rene alla Fondazione Ca’ Granda Policlinico di Milano, è uno solo: “Manca l’informazione. E questo non permette di evitare la dialisi che, oltre a ‘gonfiare’ i costi per il Sistema sanitario nazionale, rischia di compromettere la piena efficacia di un successivo trapianto”.
Nonostante siano poche, le donazioni da vivente sono soprattutto tra madre e figlio; seguono quelle tra fratelli e sorelle, mentre sono meno frequenti quelle tra partner. ”Vista la cronica penuria di organi da donatore deceduto, sarebbe davvero il caso di incentivare quelle da donatore vivente”, spiega l’esperta. L’obiettivo, quindi, è quello di stimolare il più possibile l’informazione, e far conoscere la realtà della donazione da vivente. In Italia ”la legge la consente già dal 1967 – aggiunge Berardinelli – una normativa tuttora valida, e che è stata molto lungimirante”. L’ideale sarebbe che il medico di famiglia “invii il paziente subito al nefrologo, al primo sospetto di una possibile patologia renale. Questo permetterebbe di evitare il più possibile la dialisi, con grande vantaggio sia per il successo dell’eventuale trapianto, sia per i costi che deve sostenere il Servizio sanitario nazionale”. Entro un anno e mezzo dal trapianto, infatti, si è già recuperato il costo di dieci anni di dialisi, destino a cui purtroppo possono andare incontro i pazienti che aspettano un organo. Inoltre, la persona che dona il proprio rene non vede affatto cambiare la propria vita: sono necessari solo quattro giorni di degenza (in alcuni casi solo due), ed entro due settimane dall’intervento si può tornare alla vita di tutti i giorni, senza alcuna limitazione.
Negli Stati Uniti metà dei pazienti che deve affrontare il trapianto riceve un rene da donatore vivente, e l’altra metà da donatore deceduto. In Italia, le donazioni da vivente sono meno del 10% sul totale. ”In Spagna le donazioni da vivente sono al nostro stesso livello – commenta l’esperta – anche se loro fanno molte più donazioni da persona deceduta. In Norvegia, invece, c’è un grandissimo numero di donatori viventi: questo dimostra l’importanza di una migliore informazione e consapevolezza dei cittadini”.
Il centro Trapianti del Policlinico ha da poco ha festeggiato il traguardo dei 3000 trapianti di rene, dal 1969 ad oggi: di questi, 390 trapianti sono stati eseguiti sui bambini, e la Fondazione è diventata il più ampio centro italiano per il trapianto pediatrico e uremico, e l’unico centro in Lombardia con organi provenienti da donatore per il trapianto nel bambino. Sul totale dei trapianti, 375 sono da donatore vivente, con una percentuale che è aumentata dal 7% degli anni ’70 al 17% circa dell’ultimo decennio. Per rendere l’idea, presi tutti insieme questi 3000 interventi equivalgono a una media di 70 trapianti l’anno, quando un centro per essere considerato d’eccellenza deve eseguirne almeno 30. ”Negli anni ’80 la nostra media era addirittura di 120 trapianti l’anno – dice Berardinelli – ma poi sono stati aperti molti più centri in Italia, e il numero dei trapianti si è distribuito. Con la conseguenza, però, che oggi alcuni centri fanno solo 1-2 trapianti all’anno”.
I temi del trapianto da vivente, ma anche del cosa è cambiato negli ultimi 40 anni di tecniche chirurgiche, saranno al centro del Congresso “Controversie nel trapianto di rene e nell’accesso vascolare per l’emodialisi dopo 40 anni”, previsto per domani a Milano, e presieduto proprio da Luisa Berardinelli.
Attualmente in Italia sono oltre 45.000 i pazienti dializzati, e 7.021 hanno bisogno di un trapianto di rene. Il periodo medio di attesa per un rene è di 3 anni, e l’1,46% muore prima di ricevere il trapianto di cui aveva bisogno.