Il cane le strappa il labbro, guarita grazie agli ‘angeli del sorriso’ (e alle sanguisughe)
— di Lino Grossano
Questa è una storia a lieto fine, ma che inizia in modo drammatico.
E’ la storia di Chiara (nome di fantasia) e di una squadra di medici che le ha letteralmente restituito il sorriso, dopo che un cane le aveva strappato un labbro con un morso. Lei, 32 anni, nonostante lo shock e il dolore per l’aggressione dell’animale ha abbastanza sangue freddo per conservare il labbro ‘staccato’ nel ghiaccio, e di arrivare da sola al pronto soccorso, dove lo consegna ai medici. Sono le dieci di sera, e Milano è coperta da 40 centimetri di neve.
Gli esperti della chirurgia maxillo-facciale del Policlinico di Milano sanno che non c’è tempo da perdere: l’amputazione del labbro è un evento piuttosto raro, ma ha forti implicazioni dal punto di vista estetico, funzionale e ovviamente psicologico; ogni minuto è prezioso, e l’equipe e pronta ed operativa in meno di un’ora.
C’è bisogno di una ricostruzione micro-chirurgica molto delicata: il morso del cane ha praticamente distrutto i vasi sanguigni, e questo rende molto più complicato ripristinarne le funzioni. Nelle labbra infatti il sangue (come nel resto del corpo) circola grazie alle arterie, che portano sangue ossigenato, e alle vene, che fanno defluire il sangue privo di ossigeno per permettere un ricambio. La prima cosa che i chirurghi hanno fatto è stata quindi quella di realizzare delle ‘microanastomosi arteriose’, ovvero dei ‘circuiti alternativi’ per i vasi sanguigni in modo che il sangue tornasse a nutrire i tessuti del labbro il prima possibile, aggirando le parti danneggiate.
Il problema, però, è che i danni causati dal morso hanno reso impossibile fare la stessa cosa con le vene: in pratica il sangue arrivava a nutrire il labbro, ma non riusciva più a defluire via, bloccando la circolazione. All’inizio, per risolvere il problema, i chirurghi hanno volutamente suturato il labbro con punti non troppo stretti, per permettere il sanguinamento (e quindi evitare ristagni). Ma per mantenere il drenaggio del sangue anche dopo l’operazione, durata tre ore, hanno applicato per 12 giorni delle sanguisughe medicinali, della specie Hirudo medicinalis.
La sanguisuga, ovviamente sterile e del tutto innocua, è in grado di succhiare il sangue e quindi di facilitare quel drenaggio che le vene ‘strappate’ non potevano più fare. Le sanguisughe, però, vanno sostituite ogni 2 ore: i medici hanno quindi fatto turni serrati, di giorno e di notte, dandosi il cambio e sostituendo continuamente la medicazione, per tutti e 12 i giorni. Per compensare il sangue succhiato dalle sanguisughe, la donna ha avuto bisogno di sette trasfusioni di globuli rossi concentrati.
In totale, Chiara è rimasta in ospedale per 18 giorni, e dopo la dimissione ha continuato a seguire una terapia con farmaci per altri 30. Ma ora, a due anni da quell’intervento, si può dire che tutto è andato per il meglio: ”I risultati estetici – spiegano gli stessi chirurghi della Unità operativa complessa di chirurgia maxillo-facciale – sono stati soddisfacenti in termini di forma, colore della cute, e guarigione delle ferite. Da un punto di vista funzionale, si sono ottenuti un adeguato recupero della continenza orale e mobilità del muscolo orbicolare della bocca”.
Termini forse un po’ tecnici, ma che significano una semplice cosa: Chiara è tornata a poter sorridere, come prima di questa brutta avventura.