notizia
18/05 2015
Attualità

Nuova promettente terapia contro fibrosi cistica, Policlinico di Milano centro coordinatore italiano

— di Lino Grossano

Una combinazione di due farmaci migliora sensibilmente la funzionalità respiratoria e più in generale la qualità di vita dei pazienti con fibrosi cistica: lo ha verificato uno studio internazionale appena pubblicato sul New England Journal of Medicine, che ha il Policlinico di Milano come centro coordinatore italiano.
La fibrosi cistica è una malattia ereditaria e cronica che interessa molti organi, e principalmente i polmoni e il pancreas_ i pazienti che ne soffrono vanno incontro a infezioni respiratorie ricorrenti, progressivo danno polmonare che può evolvere verso l’insufficienza respiratoria, e richiedere il trapianto dei polmoni. Nonostante i notevoli progressi nelle terapie, che nel tempo hanno consentito un miglioramento della sopravvivenza dei pazienti con fibrosi cistica, ad oggi non esiste una cura risolutiva, e questa patologia può influenzare negativamente la qualità di vita di chi ne soffre. Lo studio appena pubblicato ha coinvolto 1.108 malati “ed è uno dei più grandi che siano mai stati condotti al mondo – spiega Carla Colombo, responsabile del Centro Regionale di riferimento per la Fibrosi Cistica del Policlinico e coordinatrice italiana dello studio – i suoi risultati sono promettenti, e aprono la strada ad una vera e propria rivoluzione nel trattamento di questa malattia. Siamo riusciti infatti a verificare, in parole semplici, che è possibile far funzionare di nuovo la proteina alterata che è alla base della malattia, anche nel caso di pazienti portatori della mutazione Phe508del, che è la più frequente”.
Nello studio i ricercatori hanno utilizzato una combinazione di due farmaci. Il primo si chiama ivacaftor, ed è un ‘potenziatore’ della proteina CFTR_ è già stato utilizzato in pazienti con altre mutazioni molto più rare con buoni risultati. Il secondo si chiama lumacaftor ed è un ‘correttore’: serve per facilitare l’arrivo della proteina CFTR sulla membrana cellulare, dove svolge la sua funzione. Questa proteina, quando va incontro a mutazioni, dà luogo alla malattia: la mutazione Phe508del, in particolare, è presente nell’80% dei pazienti con fibrosi cistica ed è proprio quella su cui è stata testata la combinazione dei due farmaci.
I ricercatori hanno sottoposto i pazienti a due studi di fase 3 in doppio cieco*: si è visto che i soggetti che ricevevano la combinazione dei due farmaci “presentavano un significativo miglioramento della funzionalità respiratoria – spiega la professoressa Colombo – inoltre, il tasso di riacutizzazioni respiratorie, considerato un indice prognostico negativo, si riduceva significativamente, fino al 30-39% di episodi in meno.  In più, sia il tasso di ricoveri che l’uso di antibiotici era sensibilmente ridotto in chi era stato trattato con la combinazione dei due farmaci rispetto a chi aveva seguito il placebo. Infine, i pazienti presentavano un miglioramento dello stato nutrizionale, recuperavano il peso che avevano perduto a causa della malattia”.
I risultati dello studio hanno indotto a proseguire le ricerche, e “i pazienti sottoposti a placebo ora seguono a loro volta la terapia con i due farmaci. E’ ancora presto per dire di aver trovato la cura definitiva – conclude Colombo – ma di certo questo studio ha indicato la direzione giusta da intraprendere nei pazienti con la mutazione più frequente: siamo già impegnati in ulteriori studi per migliorare ancora di più questi risultati con altri farmaci ‘correttori’, e per studiare gli effetti anche su altri tipi di mutazioni in modo da realizzare la strategia di una terapia personalizzata”. Per i primi di giugno è attesa l’approvazione della combinazione dei due farmaci dalla Food and Drug Administration, l’ente regolatore per i farmaci americano; nel frattempo, al Policlinico, i pazienti arruolati nello studio continuano a seguire la terapia in via sperimentale.



* Uno studio in doppio cieco utilizza particolari procedure, in modo tale che né il medico né il paziente sanno se sono sottoposti alla terapia vera e propria o ad un placebo: in questo modo, a posteriori, è possibile verificare quanto la terapia è veramente efficace, evitando tutti i fattori confondenti (come, appunto, il cosiddetto “effetto placebo”).