D come epatite
Parliamo di una sfera talmente minuscola che ce ne vogliono 36milioni, tutte in fila una dietro l’altra, per riempire un millimetro. Nonostante sia incredibilmente piccola, ha tutte le potenzialità per fare grossi danni: è il virus dell’epatite D, meno noto dei suoi tre fratelli più famosi (i virus dell’epatite A, B e C) ma che arriva comunque a colpire almeno 20 milioni di persone nel mondo.
Al Policlinico di Milano vengono seguiti un centinaio di pazienti con questa particolare epatite, “ed è una delle casistiche più importanti d’Europa” racconta Pietro Lampertico, direttore della Gastroenterologia ed Epatologia del Policlinico. L’epatite D è una patologia molto aggressiva, ed è chiamata dagli esperti ‘malattia orfana’ perché al momento non esiste terapia. “Questo virus - spiega Lampertico - è chiamato ‘virus Delta’ e causa un’accelerazione della malattia cronica del fegato verso le complicanze come il tumore e la cirrosi epatica scompensata. Si tratta di un virus molto particolare, perché da solo è innocuo: ha bisogno dell’aiuto di un altro virus, quello dell’epatite B, per propagarsi e infettare le persone”.
Il virus Delta è stato scoperto da alcuni italiani negli anni ‘70, in pazienti già colpiti da una forma particolarmente aggressiva di epatite B. “Su alcuni pazienti è possibile usare l’interferone, un farmaco che però funziona solo nel 10-15% delle persone colpite dall’epatite D. Tutti gli altri non hanno al momento una cura disponibile, anche se proprio quest’anno partiranno alcuni studi per testare 3 nuovi farmaci, e avremo i primi risultati sull’efficacia nel 2019”. In Policlinico c’è un percorso di cura specfico per le persone con epatite D: “Sono pazienti delicati - prosegue l’esperto - che vengono gestiti da un medico specializzato: vengono applicate tutte le strategie diagnostiche più sofisticate per studiare il virus, e si analizzano le caratteristiche di ciascun paziente per capire se può trarre beneficio dalla terapia con interferone. Se non possono essere trattate, le persone vengono arruolate negli studi registrativi che stanno testando i nuovi farmaci. Infine, in un caso particolare abbiamo chiesto e ottenuto di utilizzare un farmaco sperimentale per uso compassionevole, dato che non c’erano altre possibilità terapeutiche”.
Accanto al centinaio di pazienti con epatite D, al Policlinico di Milano sono seguite circa 1.000 persone con epatite B e altre 5.000 con epatite C. Per quest’ultima esistono farmaci molto recenti che hanno radicalmente cambiato la storia della malattia, trasformandola da una patologia cronica a una da cui si può guarire completamente: un cambiamento epocale. Per l’epatite B esiste un vaccino dal 1991 che è in grado di proteggere fino al 95% dei casi, una percentuale elevatissima.
Infine, “il modo migliore per evitare l’epatite D - conclude Lampertico - è quello di vaccinarsi contro l’epatite B: se un paziente non prende l’epatite B, infatti, non potrà mai prendere quella di tipo D”.