Quando va tolto un fibroma all'utero? Quali conseguenze ha l'intervento? Dopo si possono ancora avere figli?
— di Paolo Vercellini. Contributo pubblicato il 5 marzo 2018 sul Corriere della Sera
Il mio ginecologo mi ha diagnosticato dei fibromi uterini e mi ha consigliato di togliere l’utero. È proprio indispensabile? Quali sono le conseguenze di questo intervento? Non ci sono delle alternative per non operarsi?
Risponde Paolo Vercellini, Direttore dell'Unità di Ginecologia chirurgica ed endometriosi dell'Ospedale Policlinico di Milano, professore di Ginecologia e Ostetricia dell'Università degli Studi di Milano
I fibromi uterini sono la più frequente lesione benigna dell’apparato riproduttivo femminile. I termini “fibroma” e “mioma” sono sinonimi e indicano un tumore benigno della muscolatura uterina che colpisce le donne in periodo riproduttivo, in particolare dopo i 30 anni. Una donna su quattro di età tra i 40 e i 50 anni è portatrice di fibromi uterini. Queste lesioni costituiscono la seconda indicazione chirurgica ginecologica dopo il taglio cesareo.
Non è stato ancora definitivamente chiarito per quale ragione si sviluppino i fibromi, anche se fattori etnici, ereditari e ormonali endogeni sembrano giocare un ruolo importante, mentre l’uso della pillola contraccettiva non pare essere determinante. Le dimensioni e la velocità di crescita sono molto variabili. Vi sono lesioni di pochi millimetri e, all’estremo opposto, altre di molti centimetri di diametro. Sia la posizione sia le dimensioni dei fibromi sono importanti nel determinare i sintomi. Anche piccoli fibromi possono causare un aumento consistente del flusso mestruale nel caso interessino la cavità interna dell’utero. Nei casi più gravi può verificarsi una progressiva anemizzazione. Il volume complessivo dell’utero spiega invece la sensazione di peso pelvico e di tensione addominale nelle donne con fibromi di grandi dimensioni.
Non tutti i fibromi causano sintomi e la loro identificazione non implica sistematicamente la necessità di trattamenti. Nel caso di desiderio di prole, i fibromi che deformano la cavità uterina devono essere rimossi per aumentare le probabilità di concepimento e ridurre il rischio di aborto. Questo intervento, denominato “miomectomia”, può essere effettuato mediante endoscopia oppure classica apertura della parete addominale in base a sede, numero e dimensioni dei fibromi.
In una paziente non più desiderosa di prole, devono essere valutati diversi fattori, inclusi l’entità dei sintomi, l’età, le dimensioni e la velocità di crescita dei fibromi, l’eventuale presenza di alcune caratteristiche ecografiche che possano mettere in dubbio la natura benigna delle lesioni, e le preferenze individuali.
Gli estrogeni sono indispensabili per la crescita di questi tumori. Ciò significa che con l’insorgere della menopausa il volume dei fibromi tende a ridursi e i sintomi ad essi associati migliorano o regrediscono completamente. In pazienti con fibromi sintomatici la menopausa può essere considerato un traguardo favorevole. Tuttavia, è difficile prevedere con gli esami ormonali attualmente disponibili quando insorgerà la menopausa e in generale va considerata un’età media di 52-53 anni. L’aumento di dimensioni dei fibromi quando le ovaie hanno smesso di produrre ormoni, così come la comparsa di perdite ematiche dopo la menopausa, deve indurre ad approfondimenti diagnostici e, in alcuni casi, alla rimozione dell’utero per una verifica istologica.
Nella maggior parte dei casi, la decisione terapeutica riguarda donne nella quarta decade di vita senza desiderio riproduttivo. In assenza di sintomi, la semplice osservazione clinica prolungata nel tempo è un’opzione ragionevole e praticabile. Quando invece i fibromi causano mestruazioni emorragiche o peso addomino-pelvico, sono disponibili diverse opzioni terapeutiche. In queste circostanze la scelta è tra terapia medica, chirurgia, embolizzazione delle arterie uterine e uso di ultrasuoni focalizzati.
I trattamenti medici, mirati a sospendere l’attività delle ovaie e a ridurre la produzione di estrogeni, possono essere indicati nelle donne che presumibilmente raggiungeranno il climaterio entro un periodo non superiore a un paio d’anni.
Quando la menopausa è più lontana, l’asportazione dell’utero è l’opzione terapeutica associata al maggior grado di soddisfazione delle pazienti. Inoltre, in buona parte dei casi l’intervento può oggi essere effettuato mediante laparoscopia, cioè senza apertura della parete addominale. Ciò permette di ridurre il dolore post-operatorio e di riprendere più rapidamente le attività abituali.
Molte donne temono che l’asportazione dell’utero comporti conseguenze sfavorevoli sulla funzionalità sessuale, vescicale, intestinale e sul rischio di prolasso genitale. Tuttavia, diversi ampi studi hanno consistentemente dimostrato che nessuno di questi timori è fondato. In particolare, la funzionalità sessuale in genere rimane invariata rispetto alle condizioni pre-operatorie e neppure il partner avverte sensazioni diverse durante il rapporto. Inoltre, le donne devono essere rassicurate che nessun sintomo climaterico insorgerà dopo isterectomia se le ovaie saranno conservate, dato che la funzionalità gonadica non verrà modificata e terminerà in base al proprio “orologio biologico”. In altre parole, non avere più le mestruazioni non significa necessariamente essere in menopausa.
L’embolizzazione, cioè l’occlusione selettiva delle arterie uterine, e l’uso degli ultrasuoni focalizzati, sono trattamenti alternativi all’isterectomia. Nel primo caso, un radiologo interventista introduce un sottile catetere in un’arteria femorale e risale sotto controllo radioscopico sino all’origine delle arterie uterine, dove inietta piccole particelle sferiche oppure introduce sottili spirali metalliche che provocano l’occlusione dei vasi causando un “infarto” uterino. Nel secondo caso un fascio di ultrasuoni viene concentrato sul fibroma sotto la guida della risonanza magnetica nucleare, provocando la morte cellulare del nucleo del tumore.
Queste ultime due opzioni, che devono essere praticate in centri ad alta specializzazione, sono supportate da evidenze scientifiche più limitate rispetto ai trattamenti medici e chirurgici. Inoltre, solo una parte delle donne con fibromi sono potenziali candidate per l’embolizzazione o gli ultrasuoni focalizzati. Secondo diversi studi, una proporzione variabile da un quinto a un quarto delle pazienti dovrà comunque essere sottoposta a isterectomia per inefficacia delle procedure.
È compito del ginecologo informare dettagliatamente la donna con fibromi di vantaggi e svantaggi di tutte le alternative, inclusa la semplice osservazione, scegliendo insieme a lei l’opzione che più si adatta alle sue priorità.