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31/05 2018
Salute

Sepsi: una proteina predice prognosi e rischio di mortalità

— di Lino Grossano

È italiano lo studio multicentrico a cui hanno collaborato l’Istituto Clinico Humanitas e l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, con il contributo di Fondazione IRCCS Ca’ Granda-Ospedale Maggiore Policlinico, quale centro coordinatore dello studio ALBIOS, che conferma su un vasto numero di pazienti, il ruolo di Pentraxina3, una proteina nota come PTX3, quale indicatore di rischio di complicanze e mortalità in pazienti colpiti da sepsi. Lo studio, selezionato tra cinque finalisti, riceve oggi a Barcellona il premio ESCI-European Society of Clinical Investigation 2018 per il miglior lavoro pubblicato nell’ambito della ricerca clinica

 

Da anni i ricercatori lavoravano per avere la significativa conferma del ruolo di Pentraxina3 nel rilevare il rischio di complicanze e mortalità nei pazienti con sepsi, un’infezione generalizzata a tutto l’organismo dovuta all’ingresso nel circolo sanguigno di batteri. “Si era già vista la correlazione tra più alto rischio di mortalità e più alti livelli di PTX3 nel sangue nell’infarto – spiega Barbara Bottazzi, Principal Investigator del Laboratorio di Immunofarmacologia di Humanitas –. Questo studio, condotto su 958 pazienti ricoverati per sepsi grave in diversi reparti di Terapia Intensiva, conferma il ruolo di PTX3 come indicatore di diagnosi e prognosi. I tempi per un impiego nella vita reale saranno ancora lunghi, ma questo studio apre le porte ad un possibile utilizzo di PTX3 quale indicatore di severità nei pazienti con sepsi”.

   “I risultati dello studio - aggiunge Roberto Latini, Capo del Dipartimento di Ricerca Cardiovascolare dell’IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri - condotto su una parte dei pazienti dello studio ALBIOS hanno dimostrato la validità di PTX3 come indicatore prognostico. Infatti abbiamo rilevato che alti livelli di PTX3 al giorno 1 erano associati a maggiore gravità del paziente (shock settico) ed erano in grado di predire l’insorgenza di gravi complicanze a carico del sistema cardiovascolare, coagulativo e renale. Di conseguenza, una minore riduzione dei livelli di PTX3 nel tempo si associava ad un maggior rischio di mortalità del paziente.

   “Questo, per il medico - conclude Pietro Caironi, del Dipartimento di Anestesia-Rianimazione e Emergenza Urgenza, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Policlinico di Milano - significherà poter valutare precocemente il rischio del paziente settico di andare incontro a complicanze gravi per le quali ci sono ancora poche armi terapeutiche, come ad esempio la compromissione del sistema coagulativo”.

   Il premio viene ritirato in data odierna dal Dott. Roberto Latini nel corso di un evento organizzato a Barcellona dall’European Society of Clinical Investigation.

Lo studio

   I ricercatori hanno utilizzato parte dei dati di 1.818 pazienti dello studio ALBIOS (ideato e realizzato dal Prof. Luciano Gattinoni per confrontare i protocolli di trattamento di reidratazione nei pazienti settici) ricoverati per sepsi grave o shock settico in 100 reparti di Terapia Intensiva italiani. I livelli di PTX3 sono stati misurati in una sottopopolazione di 958 pazienti a 1, 2 e 7 giorni dal ricovero.

Sepsi: uccide più di infarto e ictus

   La sepsi uccide 10 volte più dell’infarto e 5 volte più dell’ictus. I dati riportati in occasione della Giornata Mondiale dedicata alla Sepsi (13 settembre di ogni anno - dati http://www.estor.it/world-sepsis-day-2017), ci ricordano che le infezioni, spesso ritenute complicanze, sono la prima causa di morte per un gran numero di pazienti. Nel mondo, ogni anno sono 31milioni e 500mila le persone che sviluppano sepsi, spesso arrivando al pronto soccorso in condizioni già molto gravi, e sono 5milioni e 300mila quelle che muoiono ogni anno. Un’epidemia da non sottovalutare.