Mio padre è sommerso dalle medicine: serviranno proprio tutte?
— di Matteo Cesari, contributo pubblicato il 22/08/2018 sul Corriere della Sera
"Mio padre ha 82 anni, è cardiopatico, iperteso e soffre anche di diabete. I medici gli hanno prescritto una quantità di farmaci difficile da gestire, con almeno tre pillole per patologia. È corretto? Oppure si rischia un abuso di medicine?"
Risponde Matteo Cesari, direttore della Geriatria del Policlinico di Milano.
Le sue domande sono di grande attualità e rappresentano proprio una delle sfide che l’invecchiamento della popolazione lancia alla medicina moderna. L’assunzione quotidiana di più farmaci viene definita politerapia: a volte è giustificata e necessaria, ma può capitare che venga prescritta in modo inappropriato. Siccome non è possibile stabilire a priori la correttezza del caso proposto, ci riferiremo qui alla politerapia come esempio di malpractice.
I rischi
Da uno studio dell’Agenzia Italiana del Farmaco emerge come, in Italia, sei pazienti ultrasessantacinquenni su dieci assumano più di quattro farmaci al giorno. Nel 10 per cento dei casi si arriva addirittura a dieci o più. Una dieta a base di medicine. Senza contare che, come da più parti segnalato, succede spesso che un alto numero di anziani assuma quotidianamente almeno un farmaco in maniera impropria, e quindi pericolosa. Il problema principale della politerapia è nelle sue potenziali conseguenze, perché il numero di medicinali assunto si associa direttamente al rischio di eventi avversi (come cadute e ospedalizzazioni). Inoltre le prescrizioni inopportune causano uno spreco di risorse per il Sistema Sanitario, sia per il costo dei farmaci assegnati in modo inadatto, sia per le spese necessarie a risolverne le conseguenze negative. Ogni farmaco, anche quello ritenuto più sicuro, ha comunque un profilo di rischio, perché i suoi effetti dipendono anche dalle condizioni di salute della persona, dalla modalità di assunzione e dalle eventuali terapie concomitanti. Quindi è necessario che la prescrizione avvenga dopo l’attenta valutazione del farmaco, delle necessità cliniche del paziente, degli obiettivi del trattamento e anche delle evidenze scientifiche a supporto. Purtroppo, tutto ciò non è facile.
Diverse malattie e situazione complessa
L’università, infatti, forma i medici allo studio delle malattie, delle quali lo studente di medicina deve conoscere l’epidemiologia, la fisiopatologia, le manifestazioni cliniche, la prognosi e il trattamento. Peccato che la patologia descritta nei libri di testo, come anche recentemente obiettato da alcuni autori sulla prestigiosa rivista The Lancet, non corrisponda a quella che poi ci si trova a fronteggiare nella realtà. Nella vita reale, infatti, il paziente anziano non lamenta solo una singola malattia, ma presenta molteplici condizioni cliniche in contemporanea, più o meno croniche, più o meno manifeste, più o meno rilevanti. Queste alterazioni cliniche non si presentano insomma in modo singolo, come i manuali di medicina porterebbero a credere, ma interagiscono fra loro e generano la complessità clinica tipica del paziente geriatrico. I problemi connessi alla politerapia potrebbero lasciar intendere una generale impreparazione nell’approccio al paziente fragile, che rende necessari nuovi modelli di assistenza basati su una valutazione approfondita tra i diversi specialisti coinvolti, e su un intervento personalizzato.
Il geriatra e la persona
Che cosa fare, quindi, di fronte a un paziente sottoposto a politerapia? Per prima cosa sarebbe opportuna una visita geriatrica con un medico esperto in fragilità, che familiarizzi con la complessità del paziente e con la sua storia clinica, che analizzi con occhio critico la terapia del paziente e la monitori nel tempo. Inoltre è necessario capire perché ogni farmaco sia stato prescritto la prima volta e verificare se sia ancora valido. Soprattutto, è fondamentale che la prescrizione coinvolga sempre il paziente e il suo eventuale caregiver. La condivisione delle scelte eviterà dubbi sull’appropriatezza e rafforzerà il rapporto di fiducia medico-paziente, garantendo l’aderenza al percorso di cura stabilito. In conclusione, la politerapia deve essere affrontata dagli specialisti con una nuova forma mentis che rimetta la persona (e non la malattia) al centro dell’atto medico. Solo in questo modo l’utilizzo dei farmaci sarà giustificato e si eviterà, come diceva il celebre drammaturgo romano Publilio Siro, che «il rimedio risulti peggiore della malattia».