Tante patrie e nessun confine: intervista a Flora Peyvandi
— di Nino Sambataro
E’ orgogliosa delle proprie origini persiane ma si sente a casa dappertutto. Un segno, crediamo, non di crisi d’identità, ma di forte personalità. Oggi Flora Peyvandi è direttore della Medicina Generale – Emostasi e Trombosi del Policlinico, guida un Centro per pazienti emofilici riconosciuto a livello internazionale, e il suo motto continua ad essere “Io non ho paura…”
Ma cosa spinge una persona nata nel Paese delle Mille e una Notte a lasciare, così giovane, la propria famiglia per iniziare un’avventura in un luogo lontano, non solo geograficamente ma anche culturalmente? “Diciamo che ero poco ‘controllabile’ - ci spiega - e di questo si sono subito accorti i miei genitori. L’Iran dei primi anni Ottanta era molto diverso dal Paese moderno di oggi. Io volevo essere libera di pensare, leggere, scrivere…”.
L’Italia, da questo punto di vista, offriva qualche chance in più. “Ho iniziato a studiare italiano a Teheran. Ho fatto richiesta per l’ammissione all’Università di Siena e sono riuscita ad entrare, anche se poi ho scelto di venire a studiare a Milano”. Ha sempre avuto bisogno di ampliare i propri orizzonti, Flora Peyvandi. E infatti da Milano si è spostata allo University College di Londra per un progetto di due anni, e da lì nella prestigiosa Università di Harvard, a Boston.
“Mi sono appassionata sin da subito all’Ematologia, perché considero lo studio del sangue una disciplina che abbraccia tutta la Medicina. In particolare mi sono specializzata in Emofilia e nelle malattie rare associate”. Al Policlinico ha incontrato il suo mentore, Pier Mannuccio Mannucci: uno dei ricercatori più citati al mondo per le sue scoperte sull'Ematologia. La sua passione, inoltre, l’ha riportata periodicamente a Teheran: qui, insieme a un'équipe internazionale, si è occupata della carenza rara di un fattore della coagulazione, un problema endemico in Iran.
“Mi ricordo una volta, eravamo al Centro Emofilia di Teheran e avevamo una cartina con tanti punti che indicavano i luoghi in cui c’era carenza di questo fattore indispensabile per il sangue. All’inizio eravamo increduli, ma poi abbiamo capito che ciò dipendeva anche dal fatto che in Iran sono molto diffusi i matrimoni tra consanguinei. Insomma, c’era moltissimo lavoro da fare e bisognava farlo in condizioni non ottimali, anche perché era da poco finita la guerra con l’Iraq”.
Parlando del presente, sappiamo di un’importante collaborazione tra il suo team e quello del San Raffaele di Milano: “Si tratta di ricerche legate alla terapia genica. L’idea è quella di diagnosticare e curare l’emofilia già nel periodo prenatale, così come le altre malattie emorragiche ereditarie. Oggi, per esempio, le nuove biotecnologie hanno consentito un netto miglioramento nella qualità della vita di questi pazienti. Un paziente emofilico adesso deve fare solo un’iniezione sottocutanea al mese, anziché tre infusioni endovenose alla settimana come accadeva in passato”.
E’ importante mettere insieme la testa (e anche il cuore) dei più bravi ricercatori italiani in questo campo. Per farlo, Flora Peyvandi si avvale di uno staff di medici e ricercatori di grande esperienza: “Stiamo gestendo, tra le altre cose, 50 studi clinici. Solo per la terapia genica sono attivi in questo momento 4 diversi studi” ci spiega con un certo orgoglio. E’ chiaro, mentre ci descrive l’attività della sua équipe, che crede profondamente in quello che fa e si identifica con il suo gruppo. “Una cosa che ho trovato carente in Italia è forse proprio lo spirito di appartenenza, che io invece considero molto importante. Se vissuto con intelligenza, è ovvio. A Teheran io mi sento iraniana, a Boston americana. In Italia italiana e qui al Policlinico, mi sento del Policlinico. Questo aiuta a vedere tutte le cose nella giusta prospettiva, e ogni singola cosa con prospettive diverse”.
Ci ha fatto piacere parlare con lei, perché la vita e la storia professionale di Flora Peyvandi ci sembrano proprio la realizzazione dell’ideale scientifico: che ha tante patrie, e nessun confine.
Tratto da Blister05, lo trovi in giro per l'Ospedale