Il Coronavirus non ferma i trapianti di fegato: 17 interventi durante la fase più acuta della pandemia
— di Fabio Sanna
Uno studio che vede fra i protagonisti il Policlinico di Milano mostra come, con le dovute misure di sicurezza, i pericoli dovuti alla Covid per il trapianto di fegato possano essere ridimensionati
La pandemia da Covid-19 ha creato disagi a tantissimi pazienti, in particolare a tutti coloro in attesa di un trapianto d’organi. Infatti in Lombardia, una delle regioni più colpite dal coronavirus, nel primo mese dell’emergenza il numero delle donazioni di fegato si è praticamente azzerato (-95%). Un nuovo studio però, nato dalla collaborazione fra il Policlinico di Milano, il Nord Italia Transplant program (NITp), l'ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, l’ASST Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e l'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, ha mostrato come il virus non sia stato un ostacolo assoluto ai trapianti di fegato e anzi, durante il periodo più acuto della pandemia (Febbraio – Aprile 2020) sono stati eseguiti ben 17 interventi in Lombardia, con un tasso di sopravvivenza di oltre il 94%.
Sui 17 pazienti oggetti dello studio, due sono risultati positivi alla Covid-19 dopo il trapianto, mentre solo uno è deceduto. Si è dimostrato così come da un lato le misure di sicurezza adottate per lo svolgimento degli interventi abbiano portato ad un’alta percentuale di successo, dall’altro come la gravità dell’infezione possa portare ad importanti complicazioni. Nella ricerca, pubblicata sulla rivista “American Journal of Transplantation” si suggeriscono anche alcune procedure atte a rendere ancora più sicura la procedura del trapianto di fegato. “Oltre alle precauzioni già adottate in marzo 2020 legate alla separazione dei reparti Covid e non-Covid – ha dichiarato Umberto Maggi, autore principale della pubblicazione e medico del reparto di Chirurgia Generale e Trapianti di Fegato al Policlinico di Milano - si suggeriscono misure atte ad eseguire trapianti di fegato in sicurezza nei confronti di una eventuale infezione: sicurezza che deve riguardare sia i donatori di fegato, sia il personale sanitario, sia il paziente ricevente. Tra queste misure vi sono l’effettuazione del bronco lavaggio con ricerca del Sars-CoV-2 e di una TAC polmonare nel donatore; nel ricevente oltre ad un tampone naso-faringeo pre-trapianto si raccomanda una TAC polmonare pre-trapianto e soprattutto un bronco lavaggio dopo l’intubazione. Il risultato di questo processo permette in poche ore di avere un risultato certo sull’eventuale positività al virus, permettendo una maggiore sicurezza anche per il personale sanitario”.
La delicatezza dell’intervento impone, secondo Maggi, anche ulteriori misure di sicurezza, legate ai rischi dello spostamento da un ospedale all’altro del personale, del paziente e degli organi. Gli autori dello studio, fra i quali figurano anche i medici del Policlinico Gianluca Fornoni, Dario Consonni e Tullia Maria De Feo, suggeriscono infatti “di affidare il prelievo degli organi all’Ospedale dove si trova il donatore, evitando così inutili rischi nel trasferimento per i sanitari tra una struttura e l’altra”. Ma non solo, si consiglia anche “di concentrarsi prima di tutto sui trapianti più urgenti, di provvedere ad eventuali esami come le ecografie polmonari direttamente al letto del paziente, di effettuare un periodico screening con tamponi del personale e, infine, una volta dimesso il paziente, monitorarlo anche a distanza, in modo da limitare gli accessi non necessari in Ospedale”. Misure che, alla luce di un probabile riaggravarsi della pandemia, risultano ancora più attuali.
The impact of the COVID-19 outbreak on liver transplantation programs in Northern Italy