Matteo e la fretta di venire al mondo.
Non pensi mai che possa accadere a te. Sembra andare tutto bene, com’è andata bene a noi. Dal momento in cui abbiamo capito di volere un bambino al momento in cui sono rimasta incinta non è passato nemmeno un mese. Eravamo al settimo cielo: dopo tanti anni d’incertezza, traslochi, lavori, finalmente la nostra famiglia poteva allargarsi con serenità. Alla ventesima settimana abbiamo scoperto che sarebbe stato un maschietto. Ce lo sentivamo, chissà perché. Sul nome non abbiamo avuto nemmeno un dubbio: si sarebbe chiamato Matteo, il nome di mio padre che se n’era andato da appena due mesi.
Forse Matteo nella mia pancia ha sentito quanta felicità e quanto affetto c’erano in quell’attesa e quindi ha avuto fretta di venire al mondo, di conoscere la sua mamma e il suo papà, di vedere la sua cameretta con le pareti appena dipinte di giallo. Fatto sta che alla fine della trentesima settimana mi sono svegliata in mezzo alla notte e mi sono accorta delle perdite. Ho svegliato mio marito che forse ha realizzato prima di me che quella scena tanto attesa stava avvenendo un po’ troppo presto. Mi ha fatto vestire e siamo corsi al Pronto Soccorso del Policlinico. In quel momento il mio ginecologo non c’era, ma è stato comunque come se l’intera équipe ci stesse aspettando. Mi hanno visitata e mi hanno confermato che quello che stavo perdendo era liquido amniotico: dovevo partorire subito. L’ostetrica è stata molto dolce, mi ha rassicurata dicendomi che sarebbe andato tutto bene, che di casi simili al mio ce ne sono moltissimi. Per fortuna il Policlinico ha una terapia intensiva adeguata a queste situazioni e non mi hanno dovuta trasferire: sono rimasta lì, da sola a causa della pandemia, ma sapendo che fuori da quelle mura c’era la mia città e tutte le persone a cui volevo bene che facevano il tifo per me e Matteo. Nel giro di poche ore eccolo lì, in terapia intensiva neonatale, minuscolo ma stupendo. Con il calo fisiologico non arrivava nemmeno a due chili, sembrava impossibile che una persona così minuscola e fragile potesse sopravvivere. E invece, dopo quaranta giorni di cure da parte di un’équipe straordinaria come quella del Policlinico, siamo tornati a casa: questo Natale per la prima volta saremo in tre e sento che sarà il più bello di sempre.