Per far sbocciare una vita. Intervista a Nicola Persico
— di Monica Cremonesi
Nel servizio tv a “Le iene” lo dicono con tono deciso: “E quando andate all’estero ditelo ai vostri amici, anzi condividetelo sui vostri social. In Italia ci sono ospedali da sogno...”. Ed ecco che sullo schermo appare lui: Nicola Persico, ginecologo della Clinica Mangiagalli che opera con strumenti millimetrici per ridare speranza a bambini che potrebbero non nascere, ma che non si arrendono. Vanta studi con il guru della chirurgia fetale al King's College Hospital di Londra e la più ampia casistica di interventi in utero d'Italia, qui al Policlinico di Milano. I suoi segreti? Tanta pratica, team multidisciplinare e Fabrizio de André.
Avete mai provato a prendere un oggetto con una pinza di 3 millimetri? Roba non semplice. Requisiti: mano perfettamente ferma, occhio sincronizzato alle dita, respiro controllato e una luce adeguata. Lui ci riesce. Nicola Persico con i suoi micro-strumenti passa attraverso la pancia della mamma, da lì entra con estrema delicatezza nella bocca del feto di 26 settimane, arriva nella trachea e ci posiziona un palloncino. Il tutto con uno speciale strumento che ha le dimensioni di un'unghia del mignolo di un neonato. Accade nelle sale operatorie della Clinica Mangiagalli, al Policlinico di Milano, uno dei pochi centri in Europa che opera bimbi affetti da malattie rare diagnosticate già nei primi mesi di gravidanza. Malattie che, se non vengono individuate e trattate tempestivamente, possono mettere a rischio la sopravvivenza del bimbo.
Professor Persico, come si fa ad avere tanto controllo?
Credo sia una questione di formazione ed esperienza. E di attitudine. A me è sempre piaciuto sbirciare in spazi minuscoli.
Pratica degli sport per mantenere la concentrazione?
(Ride) Amo correre, quando posso. Ma più di tutto amo la musica e in particolare Fabrizio de André. Ho avuto il piacere di conoscerlo. Con la mia band rock del liceo di Pescara e lo zio Antonello, chirurgo pediatra, avevamo in repertorio le sue canzoni. Ho suonato il pianoforte fino al 2010, poi quando sono andato a Londra per il periodo di specializzazione, ho smesso. La musica mi ha insegnato ad essere creativo e ad estraniarmi; e mi aiuta nel mio lavoro, perché la chirurgia fetale è una disciplina con tante variabili e richiede flessibilità e creatività.
Chi è il chirurgo fetale?
E’ un ginecologo che interviene in una fase delicata della gravidanza, quando durante un’ecografia si diagnosticano malattie del feto o della placenta. Ed è in quel momento, così difficile per la coppia a cui arriva un problema che cambia la prospettiva della vita, e non solo del piccolo che potrà nascere, che abbiamo il delicato compito di diventare interpreti delle loro aspettative. Si vive in equilibrio tra il rapporto confidenziale e il giusto distacco medico-paziente. Con la coppia arriviamo a scambiarci i cellulari perché siamo sempre a disposizione per sostenerli a fare una scelta, anche difficile, ma sempre consapevole. Abbiamo tanti colloqui, e in questo non siamo soli. Con noi c’è un team di psicologhe e la forza di un ospedale come il Policlinico, dove oltre al ginecologo esperto di medicina prenatale ci sono neonatologi, chirurghi pediatrici, nefrologi, urologi e tanti altri professionisti. Il nostro centro è diverso dagli altri: è una certezza per i genitori, e anche per noi.
Quali tecniche applicate in questi casi?
Si tratta di tecniche mini invasive alternative alla chirurgia tradizionale, che in questi casi potrebbe risultare pericolosa sia per la mamma che per il bambino. Le tecniche come la Fetoscopic endoluminal tracheal occlusion (FETO), quella del palloncino per intenderci, hanno ormai dati solidi che ne confermano la validità scientifica, come è stato dimostrato da recenti studi condotti da 14 centri internazionali, tra cui ci siamo anche noi del Policlinico. In alcune malattie fetali l‘intervento chirurgico può cambiare significativamente la qualità di vita del nascituro.
Ha un caso che ricorda con particolare emozione?
Le tante coppie che si sono rivolte a noi hanno sempre fatto sapere che si sono sentite accolte, perché è stato spiegato loro con termini semplici cosa stava accadendo e come la medicina suggeriva di procedere. E si sono sentite appoggiate e mai giudicate. Sui social mi seguono e mi mandano le foto dei piccoli. Ma succede anche a coloro che hanno vissuto una situazione difficile e purtroppo dolorosa, come una coppia di Atene che mi ha regalato una statuetta su cui hanno inciso queste parole: "Thank you for making us believe", e cioè "Grazie per averci fatto credere". Loro sanno che hanno fatto tutto quello che potevano fare.
La pandemia da Covid-19 ha cambiato il vostro modo di lavorare?
La pandemia ha spento il motore del mondo, poi lo ha rallentato e non senza traumi, soprattutto per le giovani generazioni. Agli adulti può aver fatto bene: ha costretto a ripensare le relazioni e a rivedere le priorità dei valori. Una sfida all’individualismo e vedremo, a bocce ferme, se avremo imparato e quanto. In Mangiagalli per noi nulla è cambiato. Anche i pazienti in arrivo da altre Regioni non sono diminuiti. Le donne, nonostante tutto, sono comunque arrivate da noi. E malgrado le limitazioni causate dal virus, in accordo anche con la nostra Direzione, abbiamo sempre fatto in modo che i futuri papà e le mamme potessero vivere sempre insieme questo percorso; abbiamo solo intensificato i controlli del caso. La pandemia era un problema, ma qualcosa di ancora più grande per loro doveva essere affrontato.
Lei ha un suo eroe, qualcuno che l’ha ispirata?
Sì, si chiama Kypros Nicolaides ed è il medico che ha cambiato la storia della diagnosi fetale. Il suo approccio medico-scientifico è stato una guida per me. Nutro una stima infinita per lui, e il fatto che mi abbia inserito nel suo team a Londra, per quasi 5 anni, mi rende orgoglioso. E questa mia esperienza da oltre un decennio la pratico qui, alla Clinica Mangiagalli, dove ogni anno nascono più di 6 mila bambini e tra loro anche quei piccoli che ho potuto sbirciare già nell’utero, e che con forza afferrano la vita per nascere.
Gli interventi da record
Il team del professor Persico si è dedicato a oltre 300 casi di gemelli che condividevano la stessa placenta, una situazione che può dare luogo alla sindrome da trasfusione feto-fetale. Qui si interviene con tecniche laser, per ripristinare la giusta circolazione sanguigna e permettere a entrambi i feti di crescere regolarmente.
Sono invece oltre 50 gli interventi per l'ernia diaframmatica, una condizione in cui uno o più organi dell’addome 'attraversano' il diaframma e invadono il torace, compromettendo gravemente il corretto sviluppo dei polmoni. Col palloncino gli organi del piccolo si riposizionano e i polmoni crescono meglio: il palloncino verrà poi rimosso prima della nascita.
Infine, il vero intervento dei record è quello per trattare la spina bifida, un grave difetto della colonna vertebrale che può causare gradi variabili di disabilità nel bimbo, e nei casi più gravi essere addirittura fatale. La chirurgia in utero può cambiare significativamente la qualità di vita di questi bambini: il team, primo in Italia e in Europa, ne ha già effettuati più di 10.