Le due ruote di santa Caterina
— Nino Sambataro
La buona Imperatrice d’Austria, Maria Teresa d’Asburgo, come si sa, amava fare le cose per bene. Tant’è che ancora oggidì, a Milano, si pensa al suo tempo con un po’ di nostalgia, credendo che l’efficienza meneghina sia in qualche modo debitrice della dominazione austriaca. E così i milanesi giustamente si vantano del fatto che tante buone istituzioni, ancora oggi esistenti, hanno un’origine Asburgica. Poco importa poi che siano stati gli stessi milanesi a cacciar via gli austriaci a colpi di cannone, per ringraziarli di tutto il bene fatto.
Quel che conta, per quel che concerne il presente racconto, è che la suddetta imperatrice Maria Teresa aveva due supreme preoccupazioni: da una parte il pubblico bilancio, dall’altra la salute dei suoi sudditi (non ci è possibile stabilire con che priorità l’una sull’altra).
Ora, nel 1780 l’Ospedale Maggiore, conosciuto anche come Ca’ Granda, perché così si chiamava ai tempi di Francesco Sforza che l’aveva fondato (e che oggi noi chiamiamo Policlinico di Milano), aveva un “grandioso debito”, con molto dispiacere dell’imperatrice stessa. Una delle cause del debito è ascrivibile al fatto che, allora come oggi, la sanità pubblica costa molto. Ma il motivo contingente era che nella seconda metà del Settecento il numero dei bambini e delle partorienti accolti nel “Quarto delle Balie”, come allora si chiamava il reparto di maternità dell’Ospedale, era andato continuamente crescendo, anche se con grande mortalità dei neonati, imputabile anche al sovraffollamento, alle precarie condizioni igienico-sanitarie e alla carenza del personale e delle nutrici.
Per por rimedio a questa situazione l’imperatrice, in accordo con il vescovo di Milano, fece ristrutturare a spese del Governo, ovvero dei sudditi, il grande Monastero di Santa Caterina alla Ruota, che sorgeva lungo il Naviglio, di fronte all’Ospedale Maggiore, e lo destinò a ricovero per partorienti e bambini ‘esposti’, cioè abbandonati.
Vale la pena soffermarsi sull’ironia di questa Ruota, che nel nome del monastero indicava lo strumento di martirio cui fu sottoposta Santa Caterina di Alessandria, e che ora diventava la Ruota degli Esposti e quindi la speranza di una nuova vita per tanti bambinelli.
Nell’atto di fondazione si stabiliva che l’Ospizio, per non gravare sul già oberato bilancio dell’Ospedale Maggiore, di cui era emanazione e parte, godesse di un fondo governativo, ovvero pubblico. Tale istituto sopravvisse sia agli Asburgo sia ai francesi e a Napoleone, che non lo abolì, riconoscendone la pubblica utilità, e approdò intatto sino ai tempi dell’Italia unita. Si calcola che tra il 1780 e il 1866 accolse 213.649 bambini, in gran parte figli legittimi di genitori poveri.
Oggi la Ruota esiste ancora, ma si chiama ‘Culla per la Vita’, ed è all’ingresso della Clinica Mangiagalli del Policlinico. Nella stessa Mangiagalli c’è un reparto che si chiama proprio Santa Caterina, e accoglie i pazienti (soprattutto madri, ma non solo) che scelgono servizi in libera professione. Questi genitori sono quindi forse un po’ meno poveri, rispetto ai tempi asburgici; ma possono comunque usufruire della professionalità di un’istituzione al tempo stesso tanto antica e così all’avanguardia.
La moderna Santa Caterina
Lo spirito di Santa Caterina rivive ancora oggi, al secondo piano della Clinica Mangiagalli. Qui è ospitato il reparto omonimo, dove si trova la clinica privata del Policlinico di Milano. Camere di degenza con più comfort, un'area relax per tutta la famiglia e un servizio clienti al piano, interamente dedicato alla customer care degli ospiti. In ognuna delle 24 stanze, tutte ad uso esclusivo, c'è un divano-letto per ospitare un accompagnatore anche nelle ore notturne. La moderna Santa Caterina accoglie pazienti di tutte le specialità mediche e chirurgiche, anche se la sua fama è legata in particolare all'attenzione per le neomamme.
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Tratto da "Blister" - il magazine del Policlinico per curare l'attesa