#RICERCA. Epatite D: un farmaco anche per i casi più complessi
— di Ilaria Coro
Nell’alfabeto delle epatiti virali, quella più aggressiva e pericolosa tra le forme croniche è la lettera D. Nel 2020 è stato approvato dall’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) il primo farmaco (bulevirtide) in grado di bloccare l’entrata del virus Delta nelle cellule del fegato ma non era ancora conosciuta l’efficacia nei casi più complessi e delicati da trattare: quelli con malattia epatica più avanzata.
Per colmare questa lacuna, è nata la ricerca sviluppata dagli epatologi del “Centro Migliavacca” del Policlinico di Milano e pubblicata in questi giorni sulla rivista scientifica Journal of Hepatology: il lavoro ha confermato che bulevirtide blocca il virus e il danno epatico senza importanti effetti collaterali anche in questi pazienti. La terapia non è ancora in commercio ma si sta già lavorando per l’approvazione da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), prevista per febbraio-marzo 2023.
Recentemente i nostri ricercatori hanno presentato all'International Liver Congress 2022 i dati ottenuti dal lavoro che dimostra l’efficacia e la sicurezza del bulevirtide nei pazienti con cirrosi avanzata ed ipertensione portale. “Quasi l’80% dei pazienti trattati ha avuto una riduzione della carica virale, l’80% dei casi è tornato ad avere il livello delle transaminasi (gli enzimi epatici indicativi del funzionamento del fegato) nella norma e in oltre il 60% si è osservato un’ottima risposta virologica e clinica. Si tratta di dati importanti: per questi pazienti, infatti, l’uso dell’interferone, unica terapia disponibile sino ad oggi, è sempre stato controindicato. Un risultato rivoluzionario che consentirà di fermare il danno epatico ed evitare di arrivare al trapianto di fegato anche per quei pazienti che dal 1977, anno della scoperta del virus Delta, erano rimasti senza una terapia” spiega Pietro Lampertico, direttore della Gastroenterologia ed Epatologia del nostro Ospedale e professore ordinario dell’Università degli Studi di Milano.
Di epatiti virali ne esistono 5 forme, a seconda del virus che le causano, e sono contraddistinte da una lettera dell’alfabeto: A, B, C, D, E. Nel caso dell’epatite D si tratta di una malattia rara del fegato dovuta a un virus molto particolare perché da solo è innocuo ma in coppia con virus dell’epatite B diventa molto pericoloso. L’epatite D, infatti, può evolvere molto rapidamente provocando un’accelerazione della malattia a livello del fegato verso complicanze come la cirrosi, l’ipertensione portale (aumento della pressione nella vena che porta il sangue dagli organi coinvolti nella digestione verso il fegato) e il tumore. Questo virus, anche chiamato Delta, può colpire persone molto giovani che in poco tempo arrivano ad aver come unica opzione il trapianto di fegato. Si stima che possa avere tassi di mortalità fino al 50% entro 5 anni nei pazienti con cirrosi.
“Il nostro Centro è considerato un punto di riferimento internazionale per la cura e la ricerca delle patologie epatiche. Negli ultimi anni abbiamo contribuito, attraverso numerosi studi clinici, a individuare nuovi farmaci che hanno cambiato radicalmente la storia di alcune malattie infettive del fegato, come ad esempio nel caso dell’epatite C, e siamo fiduciosi che anche questa terapia antivirale potrà salvare la vita di migliaia di pazienti” conclude Pietro Lampertico.
Vai allo studio https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/35973578/