Di fragilità, paure e bisturi. Intervista ad Hayato Kurihara
— Monica Cremonesi
Il suo nome in giapponese significa “uomo senza paura” e lui confida di avere trovato nella paura la sua più grande alleata, quando si trova in sala operatoria. Ha origini lontane, ha lavorato altrove, ma è tornato a casa, qui al Policlinico, a dirigere la Chirurgia d’Urgenza proprio dove questa disciplina è nata negli anni ’50. Storia di un “mezzo giapponese”, così si definisce, che più milanese di così non si può.
Nella nostra intervista i colpi del destino hanno bussato più volte alla porta. Primo segno del destino. Hayato Kurihara è nato qui, in Policlinico o meglio al Padiglione Regina Elena. Ha studiato a due passi da questo Ospedale, dai padri Barnabiti e all’Università Statale, e poi, dopo anni di professione all’Ospedale Sacco e all’Humanitas, è arrivato in Policlinico. “Possiamo considerarlo un ritorno al liceo”, dice con un sorriso.
Altro segno. Al 4° anno di Medicina era incerto sulla specialità da seguire e disse ai suoi genitori che mai e poi mai avrebbe fatto il chirurgo. Bene, eccolo qui nelle stanze dove è nata la Chirurgia d’Urgenza italiana, grazie al suo padre fondatore, il professor Vittorio Staudacher. “La passione dell’urgenza è nei geni, mi sono scelto la pratica che più mi faceva paura e non è un caso, perché il mio nome – Hayato - vuol dire proprio “uomo senza paura”. E noi siamo educati al nostro destino. La paura che vivo in sala operatoria è quella che vedo negli occhi dei pazienti. Ma la paura è un’alleata e mi aiuta ad essere più prudente".
Ma cos’è la Chirurgia d’Urgenza?
Amo definirla come la chirurgia che si occupa di quei pazienti che escono di casa alla mattina, ma non riescono a tornare a casa alla sera, perché hanno avuto un problema inaspettato. In Inghilterra la chiamano la Cinderella Service - il servizio di Cenerentola - perché snobbata, direi meglio scontata. È invece un elemento imprescindibile del nostro sistema sanitario, una disciplina completa. Il volume di tutte le malattie che portano alla Chirurgia d’Urgenza è diverse volte più alto di quello che tratta le malattie con la maggiore incidenza, come il diabete e il tumore. Ci sono poche Chirurgie d’Urgenza strutturate con team multidisciplinari come qui in Policlinico".
E il chirurgo d’Urgenza quale profilo e attitudini deve avere?
È un medico sempre a disposizione e non lo si sceglie, ti capita. Nonostante ciò, crea un rapporto unico con i pazienti quando sa gestire la paura e la fragilità. Quella fragilità che non è programmata e che si palesa, per un incidente o per una causa di malore improvviso.
Nel suo programma di Presidente della European Society for Trauma and Emergency Surgery c’è un impegno per attrarre i giovani.
Già, mi sono chiesto come attrarre giovani e far capire loro che la Chirurgia d'Urgenza è sexy. Che cosa la rende un lavoro stimolante? C’è tanta tecnica ma c’è tanto dell’uomo che sei e che ti ha portato a fare il medico. La chirurgia programmata, per esempio oncologica o per patologie del fegato, ormai e fortunatamente, ha una mortalità ridotta a percentuali di una sola cifra. Ma nell’urgenza non è così e il medico fa la differenza. Certo, non avere orari e lavorare in emergenza è usurante ma posso affermare che nonostante le fatiche, dopo tanti anni a me sembra di non aver mai lavorato un giorno nella mia vita, tanta è la passione. E poi, per le nuove generazioni è bello lavorare con la tecnologia e avere materiali innovativi. Al Policlinico lavoriamo in sale operatorie attrezzate per una chirurgia moderna.
Le sue origini e il suo nome.
Mio papà è giapponese e mia mamma italiana: lui, da predestinato e talentuoso, era stato inviato in Europa dal Kodokan di Tokyo per contribuire allo sviluppo del Judo nel mondo occidentale, e qui a Milano ha conosciuto mia mamma. La frequentazione con questa arte marziale mi ha insegnato il principio della “mutua prosperità”, cioè l’arte della flessibilità e della pieghevolezza e dell’aiuto reciproco che porta ai buoni risultati. Questo principio in un lavoro di squadra diventa fondamentale. E io ho scelto di lavorare in squadra.
Ecco un altro segno del destino.
Quando si diventa bravi?
Quando uno studente di medicina vedendoti lavorare decide che quello sarà il suo futuro. Così è successo a me, che non volevo fare il chirurgo.
È interessante capire come un chirurgo delle emergenze scarichi le sue tensioni e le paure. Nel tempo libero cosa fa?
Quando non lavoro faccio binge watching* con le serie televisive, quelle dove ci sono bei dialoghi.
Un libro da consigliare?
“Checklist. Come fare andare meglio le cose" di Atul Gawande: un libro bello da leggere e utile per capire la Medicina, un vero insegnamento per lavorare in squadra. Sono un fanatico delle liste. Perché noi uomini sbagliamo. Anche i più esperti riconoscono il valore di un semplice strumento come un elenco di cosa da fare in rigida sequenza, perché rende semplice ciò che è complesso e mette al riparo da possibili errori. La checklist ci aiuta a ricordare, senza nulla togliere all’estro e al talento.
Ordinato, disciplinato. Preciso. Chirurgico.
Articolo tratto dal magazine Blister, storie dal Policlinico per curare l'attesa