Nuovo Policlinico. L'architettura della salute. Intervista agli architetti Gianandrea Barreca e Giovanni La Varra
— di Monica Cremonesi
In via della Commenda ormai lo sguardo è rapito dall’enorme cantiere del Nuovo Policlinico che giorno dopo giorno prende forma. Tra le firme di questa opera, che ridisegna il cuore di Milano, ci sono i loro nomi: Gianandrea Barreca e Giovanni La Varra. Hanno cantieri aperti in tutto il mondo ma Milano è il loro quartier generale. Chi meglio di loro ci può raccontare come gli spazi in cui viviamo ci aiutano a stare meglio, e non solo in Ospedale.
1) Quale pensiero o parola unisce il mondo dell’architettura ai luoghi di salute?
L'aspettativa di un architetto è di costruire luoghi che, tra le altre cose, “facciano stare bene”, ovvero inducano agio, serenità, benessere, comodità. Questa intenzione, quando si disegna e si costruisce un ospedale, è quasi tautologica. L’ospedale è il luogo dove andiamo per ricominciare a stare bene – grazie alle pratiche sanitarie – e il tentativo è che l’architettura rifletta questo benessere, lo accompagni, lo incentivi. Ovviamente è un pensiero, dal punto di vista architettonico, ambizioso, ma il progetto di un ospedale mette alla prova il tentativo di pensare allo spazio come un dispositivo che può già di per sé essere un elemento di benessere, una piccola parte rispetto a quello che la pratica medica potrà sviluppare. D’altra parte, tanto più dopo l’esperienza collettiva della pandemia, non dobbiamo pensare solo al benessere dei pazienti: chi lavora in ospedale è sottoposto a stress e tensioni notevoli, l’ospedale è una comunità di pazienti, ricercatori, infermieri, medici e se è un luogo che sviluppa un’idea di benessere, una dimensione agevole e accogliente, è un vantaggio per l’intera comunità.
2) Il linguaggio architettonico contemporaneo sembra dare sempre più importanza agli spazi per la collettività e la condivisione. È una operazione che va incontro ai comportamenti sociali o copre dei vuoti generati da atteggiamenti troppo individualistici?
Le nuove generazioni hanno un rapporto con le “cose” molto diverso dal passato, forse c’entra l’assuefazione al digitale per cui un libro o un disco, vere conquiste per le generazioni passate, oggi sono disponibili senza essere prima oggetti materiali. È una nuova cultura nel rapporto con gli oggetti, che inciderà nel mondo del design, nell’arredo e nel modo di utilizzare la città. L’idea che posso usare le cose solo quando effettivamente mi servono è anche un’idea di “leggerezza”, di una vita più agile, senza zavorre e senza radici. Questo comporta che le case possono perdere alcune funzioni e il condominio o il quartiere possono ospitarle. Poi, in realtà, le trasformazioni dei modi di abitare sono ricche di inerzie e ripensamenti, ma è una tendenza che crediamo cambierà profondamente la città e la casa nei prossimi anni.
3) Insieme a Stefano Boeri avete aperto il cantiere del Nuovo Policlinico, in cui sorgerà un giardino pensile di 6 mila metri quadrati di spazi verdi. Qual è il legame tra architettura e natura?
È un legame complesso che è cambiato più volte nel tempo. L’architettura nasce in realtà perché la natura non basta. Le città sono l’evoluzione del bisogno umano di costruire ripari e luoghi protetti che consentano alla vita comunitaria di articolarsi e consentire occasioni, scambi, crescita comune. Questo apparente conflitto costitutivo con la natura lo stiamo ripensando, gli edifici possono accoglierla e intensificarla, possono in qualche modo celebrarla, dopo che per molto tempo la natura è stata vista come il fronte a cui fare resistenza. Siamo entrati in un’era architettonica nella quale un edificio è anche un’occasione risarcitoria rispetto al consumo di energia e di risorse che, per molti secoli, abbiamo pensato fossero inesauribili. Il futuro delle città sarà un nuovo patto tra natura e artificio, un patto sociale, economico ed estetico.
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4) Qual è il vostro approccio alla architettura sostenibile?
Il Giardino pensile sopra le sale parto e le sale operatorie del Policlinico sarà il più ampio spazio terapeutico all’aperto del mondo. Non è solo un giardino, è uno spazio sanitario che usa il verde per implementare la cura: pet therapy, spazi per la musica, orti, giardini fioriti, percorsi di fisioterapia all’aperto, spazi gioco per i bambini lungodegenti, questi e altri sono gli elementi che costituiranno il nuovo tetto verde dell’Ospedale. Dalle degenze il giardino sarà visibile, potrà essere accessibile anche dalla città e proteggerà i macchinari tecnici che stanno al di sotto e che, di solito, in un ospedale sono alla vista di tutti. D’altra parte, l’ospedale è un edificio energivoro, per cui compatibilmente con l’attività sanitaria, il nostro edificio raggiunge i massimi livelli di sostenibilità possibile ma che non sono gli stessi che oggi è possibile raggiungere con le case passive, o più in generale con la residenza. Il nostro approccio alla sostenibilità è di accogliere questa frontiera come una sfida importante e necessaria, cercando di far “raccontare” all’edificio il suo essere parte del nuovo patto tra natura ed artificio.
5) Sostenete che “La facciata di un edificio è un luogo critico in cui convergono diverse discipline”. Fra poco inizieremo a vedere le facciate del Nuovo Ospedale. Dove volete portare il pensiero di chi le guarderà?
La facciata che a breve apparirà deve garantire una corretta illuminazione delle stanze di degenza e la possibilità, per tutti i degenti, di vedere il giardino anche stando a letto. Per questo abbiamo aumentato la dimensione longitudinale delle finestre così che il paesaggio del giardino possa partecipare alla vita quotidiana del degente. Ma d’altra parte abbiamo pensato anche a una facciata capace di essere una protagonista sommessa, di non invadere l’immagine dell’Ospedale che, dall’alto e da lontano, apparirà innanzitutto come un parco sospeso, una specie di tappeto volante verde che aleggia nella città.
6) L’ospedale è un luogo di incontri. Quale storia vorreste fosse raccontata negli spazi che avete progettato?
Forse vale la pena di raccontare uno spazio minore ma, per noi, denso di significato e di valenza comunitaria dell’Ospedale. Tra la piastra centrale e le stecche di degenze sono nascosti quattro patii lunghi e stretti. Uno sarà destinato all’attesa all’aperto del pronto soccorso di via Commenda, gli altri li abbiamo immaginati come spazi destinati a chi lavora nell’Ospedale, una sorta di giardino segreto, dove andare a fare una pausa, bere un caffè, chiacchierare con i colleghi. Ci immaginiamo queste storie, quelle di chi lavora tutti i giorni in ospedale e spesso non ha un “retroscena” di qualità dove riprendere energia e “staccare”.
7) Voi avete un particolare legame con il Policlinico perché avete vinto anche la gara per la riqualificazione di alcuni stabili in via Sarpi-Bramante, frutto di un’antica donazione fatta all’Ospedale, che consentirà di realizzare 200 nuovi appartamenti in social housing, in risposta ai crescenti bisogni abitativi della nostra città. Che legame avete con la storia e le tradizioni?
Un architetto che lavora in Italia si trova continuamente a interagire con storie, tradizioni e usi del passato, che ritrova spesso carichi di vitalità e di energia quando si tratta di confrontarsi con uno spazio. D’altra parte, il Nuovo Ospedale sorgerà dove c’erano gli orti officinali della Ca’ Granda, e quel giardino del passato, in qualche modo, tornerà dov’era, con forme diverse ma con un simile ruolo terapeutico. C’è sempre una dimensione archeologica nel progettare: i segni del passato si accumulano, forse li introiettiamo senza accorgercene, le vecchie carte degli orti officinali le conoscevamo già prima di vincere la gara del Nuovo Policlinico e quando abbiamo iniziato a disegnarlo in fase di concorso, questa immagine latente si deve essere risvegliata e ha preteso di ritornare al suo posto.
8) C’è un edificio nel mondo che avreste voluto progettare voi?
Gianandrea Barreca. Sono molti, e non saprei quale preferire: oggi direi la Neue Nationalgalerie di Mies van der Rohe a Berlino, domani magari l'interno di una elegante e calda casa di Carlo Mollino.
Giovanni La Varra. In una città di pianura dove i fiumi sono i Navigli, mi sarebbe piaciuto disegnare il Monte Stella, una geografia artificiale, un monumento implicito costruito con le macerie della II Guerra Mondiale.