Tumore al seno metastatico: convivere con la malattia. La storia di Alice
— di Ilaria Coro
La scoperta di un nodulo al seno durante l’università, poi un lunghissimo sospiro di sollievo. Fino a quando a 34 anni il tumore corre così veloce da raggiungere anche le ossa. Una diagnosi che ribalta la visione della vita proiettando Alice in un futuro legato a doppio filo a farmaci e a ospedali. Uno in particolare: il Policlinico di Milano, dove alla Breast Unit Alice ha incontrato specialisti che le hanno spiegato come la ricerca dia la speranza di poter guardare oltre le statistiche.
La diagnosi
Per Alice la prevenzione è la regola: la pratica dal 2009, dall’età di 21 anni quando si è accorta di un piccolo nodulo al seno. In breve tempo, ha fatto visite ed esami, tra cui anche un agoaspirato risultato negativo per la ricerca di cellule tumorali maligne. “Da allora ho continuato i controlli, facendo l’ecografia al seno ogni anno. Fino al 2022, quando la radiologa si è accorta che il nodulo aveva sviluppato una forma ‘strana’ e che era necessario fare ulteriori approfondimenti” racconta Alice “A quel punto mi sono subito rivolta alla Clinica Mangiagalli del Policlinico di Milano”. Un ospedale che Alice conosce bene, perché da diversi anni ci lavora. Alla Mangiagalli - gli specialisti da sempre in prima linea per la diagnosi e la cura del tumore al seno - “la biopsia ha confermato il sospetto iniziale e altri esami hanno mostrato come il tumore si fosse già esteso anche in altre parti del corpo con alcune metastasi ossee. Iniziare subito la terapia mi ha permesso di bloccarne la diffusione e di ridurre le lesioni”.
Vivere con la malattia
Grazie ai progressi della medicina, infatti, gli effetti collaterali si sono ridotti notevolmente. “La cura che sto seguendo mi consente di fare la vita di una persona normale della mia età senza grossi problemi. A livello fisico non mi sembra di essere malata perché effettivamente non ho sintomi particolari” spiega Alice “L’impatto della diagnosi è stato molto forte, ha cambiato la prospettiva della mia vita, di una persona di 34 anni, che improvvisamente si sente restringere il suo futuro perché, a livello statistico, il suo tempo è più limitato rispetto ad altri. Un avvenire più faticoso, in cui diventa fondamentale l’esercizio di rimanere ancorati al presente senza pensare troppo in là perché altrimenti sarebbe come affacciarsi sul vuoto e avere la sensazione di essere risucchiati da un vortice. Ancora più che nel corpo, il vero cambiamento è stato a livello psicologico”.
Il ruolo degli specialisti della Breast Unit del Policlinico di Milano
“Un aspetto importante è che tutti i dottori e le dottoresse che ho incontrato nel mio percorso di cura mi hanno sempre trasmesso la speranza, che grazie alla ricerca, è possibile che risponda alle terapie per molto tempo. Ovviamente è solo una speranza ma che però aiuta ad andare avanti. Fondamentale è stato anche il supporto psicologico che ho trovato nella Breast Unit”. Se Alice potesse parlare a tutte le donne con la sua malattia, direbbe loro: “Non bisogna aver paura di chiedere un aiuto. Avere una persona con cui parlare al di fuori della cerchia dei parenti fornisce gli strumenti per affrontare una situazione così complessa. Basta anche un’ora ogni settimana o ogni quindici giorni per spostare l’attenzione dalla malattia e avere una visione più generale. Aiuta ad apprezzare tutto quello che si vive ogni giorno. Secondo me, la natura umana è quella di adattarsi, sicuramente farlo con i mezzi giusti permette di convivere meglio con la malattia”.
In foto Ornella Garrone direttore del team dell'Oncologia Medica che sta seguendo Alice nel suo percorso di cura.