Les étoiles della solidarietà: le sorelle Invernizzi, ballerine e benefattrici
— di Valentina Castellano Chiodo
Giuseppina e Carolina, due sorelle danzatrici, due vite legate al ballo e alla beneficenza ci raccontano una storia di riscatto e di talento, un disarmante esempio di grazia e modernità.
La loro fama è raccolta in centinaia di riviste di fine Ottocento e inizio Novecento, pagine di elogi dove si legge che le "Soeurs Invernizzì" (come le sorelle furono soprannominate in Francia), erano ballerine eleganti e armoniose, apprezzate persino dal difficile pubblico parigino. Questa ascesa professionale però non le porta a dimenticare le origini modeste, il duro impegno giovanile e la vicinanza ai bisognosi, tanto che entrambe nel loro testamento lasciano una generosa donazione all’Ospedale Maggiore (oggi Policlinico di Milano).
Le sorelle hanno una carriera “di coppia”, ma cominciano a Milano studiando danza classica e ottenendo il diploma alla Scuola di ballo del Teatro alla Scala e prima di solcare prestigiosi palchi come a New York o Bruxelles, debuttano al Teatro San Carlo di Napoli, trascorrendo anche un periodo in Egitto, al Cairo, dove partecipano alla prima rappresentazione di Aida (1869), quella commissionata dal viceré in persona all’acclamato compositore Giuseppe Verdi, per la leggendaria apertura del Canale di Suez.
Approdate a Parigi, le signorine del balletto riscuotono grande successo e pare che Josephine, come amava firmarsi la maggiore, fu persino la prima ballerina nella storia soprannominata dai critici dell’epoca Étoile (stella) de l’Opéra, ben prima che questa qualifica fosse ufficializzata nel mondo!
Maria Giuseppina Giuditta Invernizzi
La prima delle sorelle, la più talentuosa, capace di esprimere con il linguaggio del corpo un forte impatto emotivo, un senso di tragedia o commedia toccanti, viene considerata una musa da coreografi e registi internazionali e di lei scriveranno: “Mimare come Madmoiselle J. Invernizzi è dipingere come Rubens, è sapere estrarre dalla sua bellezza, come il pittore dalla sua tavolozza, tutte le sensazioni della natura umana. Mlle. Invernizzi è un vero Rubens!”.
Ma questa ragazza proveniente da una famiglia semplice, partita da Lecco (sua città natale), passata per i teatri più famosi al mondo e arrivata fino a Montecarlo (nel principato di Monaco), insegnerà a molti come una donna libera con il suo talento può raggiungere la fama e la ricchezza, ma anche essere espressione del cambiamento sociale, donando una copiosa eredità.
Josephine morirà il 5 maggio 1931 (alla longeva età di 81 anni) e dal testamento si legge che sua sorella Carolina fu nominata erede universale e che destinò un consistente legato di cinquantamila lire per l’Ospedale Maggiore.
La Commissione Artistica assegnò l’esecuzione del suo ritratto al giovane artista, Giacomo Gabbiani, e accettò nella Quadreria l’opera terminata nel 1932, dove con pennellate ampie e vigorose la figura della benefattrice è in rilievo con lo sguardo fisso altrove, accanto a un vaso di fiori. Proprio lei che ne ricevette molti in vita, lanciati sul palco dagli ammiratori, impose sul testamento un funerale “senza fiori, né corone”, un ultimo “passo” leggiadro per donare quanto più possibile e abbracciare nella sua ultima danza i più bisognosi.
Carolina Barbara Invernizzi
Come la sorella anche Lotta (come veniva affettuosamente chiamata dalla famiglia) fu molto attiva nelle opere di beneficenza e per il suo impegno sociale fu insignita anche della medaglia d’oro dalla Croce Rossa italiana. Scompare nel 1937, designando erede universale l’Ospedale di Monaco, ma con importanti legati: la villa di Lierna (Lecco) e centomila lire all’Istituto di Immunologia e Batteriologia di Torino, centomila franchi alla Colonia Italiana di Monaco e cinquantamila lire all’Ospedale Maggiore.
Il primo ritratto commemorativo di Carolina, è commissionato a Spartaco Greggio, ma la Commissione Artistica non è soddisfatta e non approva il dipinto giustificando: “la figura troppo plastica è rigida e sgraziata e inespressivo il volto” e proponendo all’artista un indennizzo e un compromesso: il quadro sarebbe rimasto di proprietà dell’Ospedale, ma non esposto alla Festa del Perdono.
Il ritratto ufficiale viene realizzato l’anno successivo, nel 1939, da Giuseppe Didone, che riprende la stessa iconografia frontale del quadro respinto eseguendo un’opera manierista, così minuziosa e descrittiva che il pittore verrà definito un “vero ritoccatore di fotografie”. Carolina come la sorella e molti altri benefattori milanesi risposa nel cimitero Monumentale di Milano.
La Quadreria dei Benefattori contiene i ritratti di coloro che con la loro generosità sostennero l’ospedale: si tratta di quasi 1000 dipinti, commissionati dall’istituzione ininterrottamente dal 1602 sino a oggi, i cui autori sono artisti operanti sul territorio lombardo.
Fino alla metà del Novecento, tutti i quadri venivano esposti sotto il porticato ospedaliero alla festa del Perdono, dove potevano essere ammirati sia dalle famiglie benefattrici, sia dai pazienti e dalle persone comuni.
Oggi una selezione dei quadri più prestigiosi è esposta all’interno del Museo "I Tesori della Ca' Granda", visitabile gratuitamente da lunedì al sabato, dalle 10 alle 18 (con accesso alla cripta da lunedì a giovedì). Il museo è accessibile e dispone del baby pit-stop per allattare e cambiare il pannolino.
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