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23/09 2024
Ricerca

Numeri, dati, intelligenza artificiale e…. tiramisù

— di Ilaria Coro

Il 12 giugno 2005 all’Università di Stanford Steve Jobs pronuncia un discorso che sarà di ispirazione per un’intera generazione e ricco di messaggi. Tra questi: “Non è possibile unire i puntini guardando avanti ma solo guardandosi alle spalle. Pertanto, bisogna aver sempre fiducia che i puntini in qualche modo, nel futuro, si uniranno”.
Come è successo a Hadi Eidgah Torghabehei – bioinformatico iraniano del nostro Ospedale – che durante la sua carriera ha scoperto inaspettatamente come unire due passioni: la biologia e l’informatica, per contribuire a risolvere i problemi clinici che colpiscono i pazienti. E al Policlinico di Milano ha potuto proprio coniugare la ricerca con l’applicazione clinica. E ora ogni volta che, ad esempio, studia con l’intelligenza artificiale nuovi biomarcatori per una medicina sempre più di precisione riprova la stessa emozione di quando da ragazzino smontava e rimontava i computer per capirne il funzionamento.

 

Hadi qual è il percorso che l’ha portato dall’Iran al nostro Ospedale?

È un viaggio che inizia da lontano, quando da ragazzino in Iran, mi divertivo a smontare e rimontare i vari componenti dei computer, affascinato dal fatto ogni parte funzionasse sia in autonomia che in sinergia con gli altri. Nel tempo, l’informatica è rimasta una mia passione ma quando è stato il momento di scegliere il mio percorso di studi, ha avuto la meglio un altro mio grande interesse: la biologia cellulare. Proprio in laboratorio ho scoperto che ci fosse una disciplina scientifica in grado di unire le mie due passioni: la bioinformatica, che contribuisce a risolvere i problemi biologici con metodi informatici. Per ampliare la mia expertise, ho conseguito poi un Master in Biologia Quantitativa a Milano, dove mi sono focalizzato sulla rappresentazione quantitativa dei fenomeni biologici e sulla biofisica per risolvere i problemi a livello molecolari che a influenzano la vita pazienti. Da qui al nostro Ospedale il passo è stato breve.

 

Ma come mai ha scelto di svolgere la sua attività proprio al Policlinico di Milano?

Nel nostro Ospedale è possibile coniugare la ricerca con l’applicazione clinica. Avere l’opportunità di poter partecipare a ricerche significative per la salute delle persone è entusiasmante e allo stesso tempo mi mantiene sempre molto motivato nel proseguire questo percorso. Sono orgoglioso di aver contribuito alla ricerca sul sequenziamento dell’intero esoma – la parte del nostro genoma, circa l’1-2% in grado di produrre le proteine – che è stato utile per individuare le mutazioni e le varianti coinvolte in alcune malattie rare e metaboliche. Mi appassiona anche l’intelligenza artificiale con cui sto esplorando nuovi biomarcatori per una medicina sempre più di precisione.
L’aspetto positivo di fare il ricercatore al Policlinico di Milano è la possibilità di confrontarsi con colleghi molto preparati. Il nostro “Laboratorio di Scienze Omiche” è formato da un giovane gruppo di ricerca, molto dinamico. Persino le pause caffè sono animate, piene di dibattiti spesso su argomenti che vanno oltre il lavoro come la ricetta per fare l’impasto della pizza o migliori posti a Milano dove mangiare il tiramisù. Questo è un aspetto che mi piace molto, qui la vivace cultura italiana è molto presente e rende anche il lavoro più piacevole.